La cultura pop è quel grande serbatoio del contemporaneo immaginario collettivo. Da un lato costituisce per ognuno di noi una coordinata precisa del nostro passato, della nostra storia, il dettaglio di una canzone, di un Jingle, della pubblicità di un giocattolo, di un programma tv, di un videoclip, incastonati, assieme a un odore, un sapore, un colore, nella nostra memoria. Dall'altro è il segno vivente della produzione di serie, della standardizzazione e rinormalizzazione che gli stessi elementi operano sul vissuto di ognuno di noi. Ogni bene consumato ha per ognuno di noi uno spessore esistenziale ed emotivo che crediamo unico mentre sullo stesso prodotto di serie ognuno costruisce un analogo percorso esperienziale di vita. Un vissuto soggettivo ma alienato nel suo essere legato al consumo di un prodotto. Non la stessa automobile in tanti esemplari diversi ma lo stesso esemplare, la stessa canzone, lo stesso film, lo stesso libro, lo stesso programma tv, che acquista per ognuno un significato diverso ma che ci rende tutti inesorabilmente omologhi.
RicciForte sono dei maestri nel muoversi nelle coordinate di questa cultura pop, senza sprofondare nelle sue sabbie mobili che rimescolano ogni volta che prendono a piene mani da questo maelström per allestire le loro istallazioni drammaturgiche (mai come in questo caso le parole spettacolo, testo, sono inadeguate nel descrivere l'operazione scenica messa in atto dai due autori/registi).
Installazioni scolpite nella carne viva di quel processo di consumo e di costruzione (del senso) di sé su cui la cultura pop alleva, di generazione in generazione, tanti bambini, accompagnandoli nell'adolescenza, prima, e nell'età adulta, e oltre, poi.
Una fascinazione che RicciForte non negano di subire e che riescono a vivere senza lasciarsene vincere, avendo trovato nel teatro, nella drammaturgia, non solo lo strumento tecnico per sottrarsi agli effetti deleteri di quella seduzione, proprio come Ulisse col canto delle sirene, ma soprattutto uno strumento di (auto)consapevolezza critica e di denuncia.
Pur sapendo bene che l'autoconsapevolezza non è sufficiente per liberarci dai meccanismi della cultura RicciForte sanno altrettanto bene che aprendoci gli occhi e mostrando quanto siamo gli uni fratelli e sorelle degli altri, tutti diversi ma irrimediabilmente uguali, mettono noi spettatori e spettatrici (almeno chi è disposto a farlo) in grado di guardarsi da fuori in un gioco di rispecchiamento e di scoperta di un comune dolore, disverlamento che ci libera emotivamente e promette una rinascita.
Some Disordered Christmas Interior Geometries (che in libera traduzione possiamo rendere con qualche disordinata geometria d'interni natalizia) si rifà - e non solo nel titolo - all'unica raccolta di foto pubblicate dalla giovane fotografa statunitense Francesca Woodman. Molti elementi dell'allestimento, le nudità, l'uso di specchi, o, più in generale l'uso di stampe ingrandite dei volti dei performer rielaborano il mondo iconico di Woodman, aggiungendo ancora un tassello al percorso di ricerca dei due tra i più acclamati autori del teatro di innovazione italiano, ricerca che, pur giocando con le strutture della serialità e della ripetizione, non è mai uguale a se stessa e si fa sempre più interessante.
L'occasione è di quelle colte. La Fondazione Alda Fendi – Esperimenti, con Raffaele Curi (direttore artistico) e Alessia Caruso Fendi (direttore del Silos), sceglie di celebrare la più pagana delle feste (quella del Sol Invictus, evolutasi col tempo nel nostro Natale) invitando Ricci/Forte a realizzare a Roma una performance esclusiva secondo i loro canoni di ricerca.
Ne è nato un allestimento che trova ragion d'essere olte che nel Natale anche nel luogo in cui prende forma: il silos 1 dei mercati traianei, una delle scoperte archeologiche romane più importanti degli ultimi anni.
Stefano Ricci e Giovanni Forte colonizzano lo spazio della fondazione impadronendosi di tutta la struttura architettonica, dall'ingresso ai corridoi che portano al sito arccheologico vero e proprio, allestendo un percorso a stazioni, come quelle delle sacre rappresentazioni da cui il teatro moderno ha preso vita all'incirca mille anni fa. Una mise en abyme per tappe multiple che permette agli spettatori di addentrarsi, man mano che procedono, nel ricordo preadolescenziale del proprio Natale così come gli viene ripetutamente raccontato, mostrato, evocato, ricordato dai 10 performer, 5 ragazzi e 5 ragazze, sempre meno vestiti, man mano che gli spettatori si muovono di stazione in stazione e man mano che la mente va ai ricordi della propria adolescenza e della propria infanzia.
Veri rimescolatori di sensi (di significati) costruiti altrove, RicciForte smuovono, spezzano e ricompongono, in un procedimento analogo a quello organico del brodo primordiale in cui le catene di amminoacidi si sono assemblate quasi casualmente nelle prime proteine, quei percorsi di significato sui quali diamo un senso e costruiamo i perché della nostra vita. Un vissuto che non ha senso alcuno se non quello del suo stesso vivere ma che, lo stesso, ci affanniamo a organizzare in un semplificatorio e rassicurante discorso narrativo di causa ed effetto. Con Some Disordered Christmas Interior Geometries è un'occasione più unica che rara (dopo il 15 dicembre, ultimo giorno di rappresentazione, non sarà mai più ripreso) per mettere alla prova la propria capacità di emozionarsi, di commuoversi e di eccitarsi, nell'onda dei ricordi che riemergono dal percorso cinestetico che RicciForte hanno preparato per chiunque trovi il tempo (e il posto libero, affrettatevi!) di compiere un percorso il cui effetto è sì diverso da persona a persona eppure tremendamente uguale.
Un percorso nel quale i corpi delle giovani e dei giovani performer diventano elemento concreto di quel corpo desiderante astratto che è quello nostro di bambini e di adolescenti, quello educastrato dalla condizione di adulti che, nell'arco di appena 25 minuti, possiamo momentaneamente abbandonare, in uno spazio sorvegliato e protetto (sono i performer stessi a condurci da una stazione all'altra con racconti di vigile natalizie, ammiccamenti e profferte di bicchieri latte) per ritornare a quello emotivamente ondivago e desiderante della nostra infanzia. Mentre i 10 performer offrono al nostro sguardo impudico il loro corpo sempre meno vestito fino a una nudità che sfiora l'erotismo riapprodiamo a quell'antica emozione infantile, che, molto più di ogni desiderio sessuale, sa ferirci nella sua mancanza, quell'antico senso di onnipotenza che provavamo da bambini nel poterci abbandonare alle cure degli adulti grazie alle quali sapevamo non poteva capitarci nulla di male.
Posto dinanzi ai corpi dei performer, corpi desideranti, corpi che piangono, corpi trapassati da un desiderio di vita, lo spettatore (la spettatrice) assiste a una performance ad alto contenuto emotivo che ci fa tornare in contatto per un solo istante con quel corpo polimorfo e perverso dal quale torniamo a nascere.
SOME DISORDERED CHRISTMAS INTERIOR GEOMETRIES
con
Anna Gualdo, Andrea Pizzalis, Anna Terio, Barbara Caridi, Elisa Menchicchi, Fabio Gomiero, Giuseppe Sartori, Marco Angelilli, Valentina Beotti, Valerio Sirna, Velia Esposito
stylist Simone Valsecchi
movimenti Marco Angelilli
assistente regia Barbara Caridi
regia Stefano Ricci
FONDAZIONE ALDA FENDI – ESPERIMENTI
Roma – Foro Traiano, 1 – www.fondazionealdafendi.it
8/15 dicembre dalle ore 21,00.
Ingresso gratuito, previa prenotazione obbligatoria telefonando ai numeri 06.6792597 – 06.6793139
La foto di Lucia Puricelli, tratta dal sito di Krapp's Last Post.